Intervista a Michele Azzola, Segretario Nazionale SLC CGIL
Care Associate ed Associati del CNQ,
il 6 dicembre scorso si è tenuto un importante CDA nel corso del quale è stato dato mandato al management di verificare le condizioni per un’eventuale partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti al capitale di una società da costituire per la gestione della rete d’accesso.
È da tempo che come CNQ stiamo focalizzando la nostra attenzione su questa tematica e, più in generale, sul futuro industriale del Gruppo Telecom Italia.
Dopo il recente confronto con il nostro management abbiamo quindi iniziato una serie di incontri con i massimi esponenti dei Sindacati di Categoria che ci hanno fornito il loro prezioso punto di vista su queste fondamentali tematiche che, senza dubbio, impatteranno decisamente sul nostro singolo posto di lavoro.
In questo nuovo appuntamento abbiamo quindi il piacere di presentarvi il dibattito che il nostro Presidente Mauro Martinez ha avuto con Michele Azzola, Segretario Nazionale Slc Cgil.
Con Michele abbiamo affrontato una serie di temi che, dati gli ultimi avvenimenti, sono sempre più di attualità e del massimo interesse per noi tutti.
Buongiorno Michele, grazie per la tua disponibilità ad incontrarci e ad aiutarci a capire meglio alcuni temi importanti del nostro futuro organizzativo.
1) In base alle recenti notizie apparse sulla stampa nazionale, Telecom Italia pare voglia
indirizzare il proprio modello organizzativo verso una focalizzazione di alcune attività
precedentemente considerate “core business” (Rete, Customer Care, IT) ed una successiva societarizzazione delle stesse. Secondo te, Michele, questo modello organizzativo – societario è realmente perseguito da Telecom Italia? E questo modello è industrialmente conveniente per Telecom ai fini di un’evoluzione ed un presidio del mercato delle TLC?
Vedi Mauro, la discussione sul modello organizzativo che Telecom intende adottare sarebbe lunga e richiederebbe elementi di conoscenza che oggi non abbiamo. Io ritengo che le decisioni non siano ancora state assunte e siano diverse a seconda del segmento di azienda che vogliamo andare a prendere in esame. Per quanto attiene la Rete, la decisione di procedere allo scorporo attraverso la creazione di una nuova società è condizionata da due fattori.
Il primo riguarda la politica, ed in particolar modo le decisioni che il Governo (post elezioni) prenderà in merito allo sviluppo della rete di nuova generazione ed agli investimenti pubblici e privati che si concentreranno su tale attività. E’ evidente che il rispetto degli impegni assunti con l’Agenda Digitale Europea sullo sviluppo dei sistemi informatici e telematici si potrà realizzare solo a condizione che vi sia una rete di sostegno adeguata.
Il secondo fattore è legato al futuro di Telecom. Se si procedesse ad uno smembramento della rete alle attuali condizioni, ci sarebbe il rischio concreto che la società restante diventasse un “comune” operatore telefonico, e non avesse più i numeri per stare sul mercato, considerato l’eccessivo divario dei costi con i concorrenti.
Contemperare le due diverse esigenze non sarà una cosa semplice e richiederà una lunga trattativa tra i vari soggetti interessati (Stato, Telecom Italia, altri operatori, Cassa Depositi e Prestiti ecc.). La nuova normativa europea sul tema delle reti, a mio giudizio, ha ridimensionato di molto la necessità di procedere in quella direzione ma, per quanto riguarda l’Italia, resta il problema dell’ingente debito che grava sulle spalle di Telecom. Quindi, la partita è apertissima.
Sul resto delle attività di cui si discute, Customer Operations e Staff, esistono due correnti di pensiero all’interno della Società. Il piano industriale di Telecom prevede, a fronte di una consistente riduzione del fatturato domestico, un significativo intervento di riduzione dei costi. Parte dell’azienda ritiene che interventi rilevanti si potrebbero realizzare solo se fatti in società di “scopo” finalizzate a singoli ambiti di attività e, proprio per questo, confrontabili e paragonabili con il mercato esterno.
La CGIL ritiene questa impostazione profondamente sbagliata e in quanto tale da contrastare con forza. E’ necessario convincere i vertici di Telecom che un piano di riorganizzazione si può, o meglio si deve realizzare nell’ambito di un’unica azienda, proponendo una scommessa all’insieme dei dipendenti utile ad un profondo e vincente rilancio societario.
Prescindere dal consenso del personale che opera in Telecom ed imporre modelli che rompono il rapporto fiduciario tra impresa e lavoratori sarebbe un errore colossale. Un’azienda di servizi non può vincere sul mercato se i propri dipendenti non sono fortemente motivati, e conseguentemente impegnati, nella realizzazione degli obiettivi.
2) Secondo te quali sono i rischi o le opportunità derivanti da un’organizzazione che vede una Telecom Italia ridotta societariamente al governo di attività prevalentemente commerciali ed a capogruppo di differenti società, ognuna delle quali con oggetto ed entità societaria distinta (es. Information Technology, Customer Care, Rete, etc.)? Quali potrebbero essere gli impatti sui lavoratori di TI e delle relative società sottostanti?
Tolta l’eventuale società delle reti, per la quale il discorso è diverso perché si creerebbe
un’azienda che gestisce un “monopolio”, per il resto delle società il rischio maggiore è quello di essere messe in comparazione con quelle operanti oggi sul mercato.
L’errore commesso dai vertici aziendali è quello di guardare semplicemente al “costo” del
lavoro delle società che oggi operano in appalto su attività simili. E’ del tutto evidente, però, che non si possono confrontare realtà diverse. Un conto è un’azienda che opera in appalto e che definisce i propri costi sulla base degli importi fissati dai contratti commerciali. In questo caso la qualità ricopre un’importanza del tutto relativa, non c’è spinta a migliorare ed efficientare i processi e il servizio, con un conseguente basso livello di coinvolgimento dei dipendenti, che non si sentono coinvolti in un “progetto”.
Per Telecom, il “costo” del lavoro andrebbe mediato con la qualità del servizio che si offre, con la partecipazione attiva del personale nella ricerca di modelli vincenti. Per un’ azienda di servizi questi sono elementi indispensabili per avere successo sul mercato.
E’ del tutto evidente, inoltre, che il passo successivo alla creazione di società di scopo potrebbe essere la vendita delle stesse perché ritenute non più funzionali al business aziendale. Vero che oggi Telecom dichiara queste attività “core” ma una volta confinate in aziende parallele il passo verso la cessione è veramente semplice.
Il modello che prevede le societarizzazioni non funziona, rischia di essere un “cane che si morde la coda” perché per guardare solo ai costi, si peggiora la qualità del servizio e questo determina successive perdite di clienti/fatturato che obbligheranno poi a nuovi interventi sulle spese. Una spirale negativa da cui sarebbe difficile uscire.
Telecom deve puntare ad essere sempre di più l’azienda dell’eccellenza, dell’innovazione e della qualità, unici fattori in grado di invertire i numeri negativi che oggi registriamo. Non si sente la mancanza di operatori “low cost” in Italia, ci serve una Società in grado di competere con gli sviluppi tecnologici del resto d’Europa e attraverso processi di innovazione e nuovi servizi in grado di favorire il cambiamento del Paese.
Se il vertice si arrendesse a competere con gli operatori “low cost” sarebbe una sconfitta:
quelli nati con questo scopo sono molto più bravi di Telecom Italia.
3) Secondo alcuni analisti finanziari la separazione della Rete di accesso potrebbe essere l’unica operazione strategica in grado di risollevare lo status economico di TI, alleviando l’onere del debito e garantendo, al contempo, una sufficiente disponibilità di capitali utili ai fini di futuri investimenti tecnologici. Come Sindacato concordate con questa visione strategica? In questo contesto, la presunta separazione della Rete di Accesso è secondo te un’effettiva opportunità per Telecom Italia o si traduce essenzialmente nel depauperamento dell’asset fondamentale del Gruppo Telecom?
E’ un’analisi superficiale e sbagliata. Per realizzare un’operazione in grado di ridurre significativamente il debito di Telecom Italia sarebbe necessario cederla perdendone il controllo. In questo caso il restante di Telecom non sarebbe in condizione di competere sul mercato con aziende nate per fare solamente gli “operatori” telefonici. Non è un caso che nel resto d’Europa non si sia seguito questo modello.
E’, invece, necessario trovare una strada che consenta a Telecom di rilanciare gli investimenti per velocizzare la realizzazione del Fttc su tutto il territorio nazionale e il Ftth nelle realtà in cui la domanda di servizi lo richieda. Nello stesso tempo Telecom deve trasformarsi da semplice società che trasmette “dati e voci” altrui in un operatore in grado di erogare servizi a valore aggiunto.
Le aziende che, nei prossimi anni, si limiteranno a svolgere esclusivamente un ruolo di operatore di “Telco” tradizionale sono destinate a ridimensionarsi e impoverirsi perché il mercato è saturo e le tariffe continueranno a scendere.
4) Nel caso in cui non condividiate questo modello industriale, come intendete influire concretamente in questo processo di revisione organizzativa? Quali sono eventuali proposte alternative? E quali sono gli strumenti disponibili utili a contrastare, nel caso, questo indirizzo?
Il confronto dovrà realizzarsi a 360° sia con Telecom sia con la politica e il nuovo Governo. Il messaggio che dovremo riuscire a far passare è che non si può immaginare di avviare il rilancio partendo dal fatto che si debba distruggere una delle più importanti realtà economiche in Italia.
Con un lavoro lungo, determinato e costante andranno convinti i teorici del mercato senza regole (esattamente quelli che hanno contribuito a scatenare la peggiore crisi economica che ha investito il mondo dal dopo guerra) che un Paese che vuole crescere e competere all’estero deve avere aziende nazionali in grado di vincere sui mercati internazionali.
Ripeto, ci sarà un motivo per cui in Europa nessuno persegue il modello di “società” delle reti.Lo strumento principale che abbiamo a disposizione è la “ragione”. Folle sarebbe riparare ad una “privatizzazione” sbagliata nelle regole, che ha già consentito di “scaricare” sull’azienda un’impressionante quantità di debito, con un altro errore come il ridimensionamento di un’azienda fondamentale per il futuro del nostro Paese.
Tutti gli altri strumenti, compresa la mobilitazione dei lavoratori, li utilizzeremo nel momento opportuno e se sarà necessario.
5) Negli ultimi tempi si sono verificati trasferimenti “massicci” di risorse verso strutture ben identificate (CSA). Questa operazione parrebbe in linea con la re-internalizzazione da parte dell’Azienda (processo auspicato anche dal sindacato in generale) di processi e attività oggi in gran parte esternalizzati. Per quale motivo avete invece manifestato contrarietà a questa operazione da parte dell’azienda? E come intendete fronteggiare concretamente eventuali nuovi processi di esternalizzazione di risorse / attività verso il CSA od altre strutture organizzative (es. Customer operation)?
La reinternalizzazione di attività lavorative è una condizione necessaria per salvaguardare
l’occupazione di Telecom Italia nei prossimi anni. Questa è la conseguenza delle nefaste
riforme messe in campo dal Ministro Fornero che hanno innalzato l’età pensionabile e
modificato gli ammortizzatori sociali creando le condizioni per cui, nei prossimi anni, le uscite “naturali” di dipendenti si interromperanno.
Dovendo adeguare gli organici ai minori volumi di attività e non potendo più accompagnare anticipatamente alla pensione il personale, l’unica opportunità è riprendersi attività oggi non più presidiate direttamente. Tale necessità va vissuta come un’occasione per provare a rilanciare la qualità dei servizi complessivamente erogati da Telecom e un nuovo rapporto di fiducia con i propri dipendenti che hanno sul corpo le “ferite” di 10 anni di riorganizzazione che hanno sconquassato l’azienda.
Per far si che questo processo si traduca in un’opportunità, sono necessarie due condizioni fondamentali: la prima è condividere gli obiettivi che s’intende perseguire con le modifiche organizzative. I dipendenti hanno il diritto di sapere perché si costituisce una nuova struttura o reparto e qual è lo scopo che si persegue.
La seconda è la trasparenza. Ci vogliono regole oggettive per l’individuazione del personale che si vuole spostare o riqualificare in modo che non ci sia il retro pensiero che lo spostamento sia generato da una volontà di allontanare “proprio quel dipendente”.
In altre parole sono fortemente convinto che un dipendente considerato come una risorsa diventi parte attiva nel cambiamento, mentre un lavoratore vissuto come un costo faccia l’unica cosa che gli è concessa fare, reagire ed opporsi.
Fino ad ora Telecom non è riuscita a chiarire nessuna delle due condizioni date. In questo caso c’è un’eccessiva debolezza dei vertici aziendali nei confronti dei responsabili delle linee che ritengono, sbagliando, che le risorse umane se le debbano scegliere loro in conformità a criteri fintamente meritocratici.
In realtà questo modo di operare porta a cercare dipendenti “fedeli” e questo è un errore
grande. Troppo facile per un responsabile aziendale lamentarsi continuamente di non avere risorse adeguate a consentire la realizzazione degli obiettivi fissati dall’azienda.
Se c’è personale che non lavora al meglio e non è motivato, la colpa non va addossata al singolo lavoratore ma all’incapacità dei responsabili di motivare i propri dipendenti facendoli sentire parte di un progetto. Nel prossimo processo di riorganizzazione dovremo scommettere tutti assieme su un cambio culturale che vada in questa direzione: trasparenza e pari opportunità.
6) Relativamente alla contrattazione collettiva di primo e secondo livello, quali possono essere le conseguenze giuslavoristiche di una societarizzazione / smembramento di Telecom Italia in più entità distinte?Cosa può cambiare praticamente nei diritti e nei doveri dei lavoratori?
Per quanto riguarda il Contratto Nazionale non ci sarebbero conseguenze.
La contrattazione aziendale, invece, sarebbe completamente stravolta. Infatti, si realizzerebbe il paradosso che non misurando i lavoratori con i risultati complessivi raggiunti dall’azienda ma raffrontando i risultati delle singole società con quelle già presenti sul mercato di riferimento ci troveremmo di fronte a dipendenti che pur lavorando per un unico risultato sarebbero valutati in modo diverso.
Quello che preoccupa maggiormente, però, sono le conseguenze sul medio – lungo periodo perché è evidente che le aziende tarate su attività “labour intensive” come le customer operations e le staff alla lunga pagherebbero il prezzo di essere raffrontate a quelle che operano in outsourcing sul mercato.
In queste ultime, nell’ultimo decennio, abbiamo assistito ad una contrazione dei diritti e del salario dei lavoratori che ha rasentato l’indecenza, con una conseguente caduta della qualità del servizio offerto. Telecom non se lo può permettere.
Ottimo, grazie Michele, risposte interessantissime e che fanno riflettere. Ti ringrazio a nome di tutti i nostri iscritti per la chiara visione del futuro che ci hai fornito e che ci aiuterà a comprendere meglio quanto accadrà nei prossimi tempi. A presto!