Cari Colleghi,
così come vi avevamo preannunciato con il nostro recente comunicato sulla “Telecom che verrà” crediamo sia giunto il momento opportuno per approfondire le prospettive ed il futuro della nostra Azienda in un momento, quale l’attuale, che sembra prefigurare una radicale ristrutturazione del Gruppo Telecom Italia, sia dal punto di vista strategico che organizzativo.
Dopo gli incontri con il management ci siamo quindi confrontati con gli esponenti Nazionali dei principali Sindacati per avere il loro autorevole punto di vista su questo tema di così rilevante importanza ed interesse per tutti noi dipendenti Telecom.
Questo dibattito ha avuto il merito di chiarire a tutti noi non solo le prospettive che attendono Telecom Italia sul mercato delle TLC dei prossimi anni, ma anche di prefigurare un quadro organizzativo e normativo che inevitabilmente ci coinvolgerà a partire dai primi mesi del 2013.
Il nostro Presidente, Mauro Martinez, ha avuto quindi il piacere di incontrare i Segretari Nazionali dei Sindacati di Categoria per le Telecomunicazioni con i quali si è sviluppato un dibattito volto a delineare il posizionamento strategico del Gruppo Telecom Italia dei prossimi anni. Di tali riscontri vi daremo evidenza fin da oggi e nei giorni a venire, pubblicando di volta in volta l’esito delle singole interviste.
Abbiamo quindi il piacere di riportare, qui di seguito, il resoconto della discussione che, con Stefano Conti, Segretario Nazionale UGL Telecomunicazioni, abbiamo sviluppato su numerosi temi di attualità e sulle prospettive che ci attendono da domani.
“Caro Stefano,
In base ad alcune notizie recentemente apparse sulla stampa, Telecom Italia pare indirizzare il proprio modello organizzativo verso una focalizzazione di alcune attività precedentemente considerate core business (Rete, Customer Care, IT) ed una successiva societarizzazione delle stesse. Secondo te questo modello organizzativo – societario è realmente perseguito da Telecom Italia? E questo modello è industrialmente conveniente per Telecom ai fini di una evoluzione ed un presidio del mercato delle TLC?
Le linee guida del Piano Industriale 2012/2014 illustrate a giugno da Telecom Italia sono molto chiare circa il nuovo modello organizzativo, in quanto indicano il perimetro delle attività “core” della Rete, dei Customer, dell’Information Technology e delle Aree di Staff, all’interno del Gruppo, quindi non necessariamente in Telecom Italia. Di conseguenza una societarizzazione (o sarebbe più opportuno dire cessione di ramo) delle stesse è plausibile. E’ da tempo che questo modello viene perseguito dall’Azienda. A nostro avviso, per ottenere una evoluzione ed un reale presidio del mercato delle Tlc, ,al di là dei modelli organizzativi è fondamentale puntare sulla qualità del servizio erogato reinternalizzando il lavoro appaltato e delocalizzato e ridurre gli enormi sprechi tutt’ora presenti, partendo magari da un ridimensionamento del numero dei consulenti presenti nel Gruppo.
Secondo te quali sono i rischi o le opportunità derivanti da un’organizzazione che vede una Telecom Italia ridotta societariamente al governo di attività prevalentemente commerciali ed a capogruppo di differenti società, ognuna delle quali con oggetto ed entità societaria distinta (es. Information Technology, Customer Care, Rete, etc.)? In particolare quali potrebbero essere dal tuo punto di vista gli impatti sui lavoratori di TI e delle relative società sottostanti?
Puntare a diverse Società ciascuna con propri business sottintende elevare la formazione e la professionalità dei lavoratori, non demotivarli come sta accadendo ormai da diversi anni. E’ importante ribadire che in un mercato così altamente concorrenziale il recupero di quote di mercato passa attraverso la qualità del servizio erogato, per cui non è possibile lamentare la perdita di abbonati del segmento mobile quando in un passato recente si è permesso di lasciar migrare migliaia di clienti verso operatori virtuali (la Coop…) sospendendo deliberatamente le azioni di retention; così come non è credibile cercare di ottimizzare costi gravandoli sul personale quando si vantano milioni di credito con le Procure di tutta Italia e non viene creato nessun team che abbia come mission quella di andarli a recuperare.
In passato un’operazione come quella della nascita di TIM ha portato risultati incredibili in termini di crescita economica ed occupazionale. Ma forse era un altro mondo ed ancora prevaleva una certa visione industriale che oggi fatichiamo a ritrovare nella composizione degli attuali grandi azionisti, forse troppo distratti dai soli aspetti finanziari ed intenti nelle assemblee ad evitare azioni di responsabilità nei confronti degli ex manager Buora e Ruggiero…
In altre parole la nostra preoccupazione è che dopo qualche anno qualcuno si accorga che le nuove società non riescono a concorrere sul mercato, sia per gli elevati costi del personale rispetto a quello dei competitor, sia perché magari qualcuno deciderà che quelle attività non saranno più core business ed inevitabilmente ci troveremo di fronte ad ulteriori esuberi di personale.
Purtroppo situazioni già verificatesi in Azienda con le precedenti cessioni di rami di attività.
Secondo alcuni analisti finanziari la separazione della Rete di accesso potrebbe essere l’unica operazione strategica in grado di risollevare lo status economico di TI, alleviando l’onere del debito e garantendo, al contempo, una sufficiente disponibilità di capitali utili ai fini di futuri investimenti tecnologici. Il sindacato concorda con questa visione strategica? In questo contesto, dal tuo punto vista la presunta separazione della Rete di Accesso è per il sindacato un’effettiva opportunità per Telecom Italia o si traduce essenzialmente nel depauperamento dell’asset fondamentale del Gruppo Telecom?
La separazione della Rete è un tema sul quale si dibatte da anni e si è ormai arrivati ad un punto tale, secondo noi, per cui questa scelta è obbligata per garantire la sopravvivenza stessa del Gruppo e di conseguenza delle migliaia di dipendenti in forza. E’ evidente che le varie Proprietà che si sono succedute negli anni hanno speculato sui profitti di questa Azienda aumentandone a dismisura il debito e si sono sistematicamente disinteressate di focalizzare l’interesse sul core business principale che è la Rete.
Altresì i vari Governi che si sono alternati non hanno esercitato quel potere di veto conferito alla Golden Share che avrebbe potuto mantenere saldamente in Italia il comando di questo asset così strategico. Cosa che sta tentando di fare in questi giorni il Governo preparando un decreto ad hoc che consenta di mantenere un certo controllo sulla Rete in caso di scorporo rispetto soprattutto ad operatori di paesi extracomunitari.
Si tenta cioè di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.
In ogni caso una cosa è certa l’Italia ha bisogno di dotarsi di una rete di alta qualità in poco tempo e l’Azienda di continuare ad investire nelle nuove tecnologie, come la LTE ed il cloud computing (la famosa nuvola informatica) che ha registrato nel 2011 un incremento notevolissimo. Se non si va in questa direzione…
Come UGL Telecomunicazioni auspichiamo che in un eventuale scorporo della Rete debbano confluire sia la parte fissa che quella mobile, oltre tutti i settori oggi appartenenti ad Open Access, Techical Infrastructure, SCRE e Network di T.I.
Nel caso in cui il sindacato non condivida questo modello industriale, come intende influire concretamente in questo processo di revisione organizzativa? Quali sono eventuali proposte alternative? E quali gli strumenti disponibili per contrastare, nel caso, questo indirizzo?
Come abbiamo sottolineato Telecom Italia deve ridurre gli sprechi basandosi sul contenimento dei costi, che non vuol dire scaricarli interamente sulle spalle dei dipendenti; ricordiamo infatti che nel bilancio 2011 la percentuale del costo del personale sui costi operativi complessivi è pari al 27,29%.
E’ nel “rimanente” 72,71% dei costi che occorre operare una razionalizzazione seria e soprattutto in modalità trasparente; per questo da anni chiediamo all’Azienda di fornire un resoconto dettagliato sugli efficientamenti operati, magari anche attraverso una comunicazione diretta a tutti i dipendenti del Gruppo, senza purtroppo ottenere risposta.
Si potrebbe iniziare a prendere in considerazione le possibilità che offre l’art. 17-bis del Decreto Sviluppo 83/2012, nel quale vengono stanziati dal Governo 210 mln di euro in tre anni, di cui 150 mln come bonus fino a 5000 euro per l’acquisto di auto elettriche o ibride a basse e bassissime emissioni di c02; il 70% di questi fondi è riservato per il rinnovo del parco auto aziendale, con annessi ulteriori 20 mln per le istituzioni locali per la realizzazione degli impianti con le colonnine per la ricarica.
Potenzialmente nel Gruppo Telecom vi sono circa 10.000 autovetture e poter attingere a parte di questi fondi la riteniamo un’interessante operazione dal punto di vista economico e soprattutto di immagine aziendale di un modello ambientale sostenibile, nel rispetto della Responsabilità Sociale di Impresa.
Oltre agli incentivi economici pensiamo alla riduzione delle emissioni dei gas di scarico (che sono il principale fenomeno dell’inquinamento ambientale urbano), nonché al risparmio sui costi del carburante, in quanto una ricarica elettrica completa costa più o meno qualche euro, una cifra risibile in confronto ai costi di un pieno di benzina o diesel.
Inoltre come UGL Telecomunicazione abbiamo presentato mesi fa a Telecom Italia il Progetto I.S.O.L.A. (scaricabile dal sito www.ugltelecomunicazioni.it), un modello complementare al telelavoro (strumento necessariamente da potenziare, su base volontaria, in tutti i settori aziendali) , ideato soprattutto per i livelli medio alti, che permette di lavorare in qualsiasi sede aziendale, sfruttando tutti i servizi messi a disposizione dall’Azienda stessa. In altre parole la possibilità per i dipendenti di ridurre lo stress del tragitto casa/lavoro ed i costi ad esso correlato, probabilmente aumentando anche l’indice di produttività e totalmente a costo 0 per l’Azienda!
Negli ultimi tempi si sono verificati trasferimenti “massicci” di risorse verso strutture ben identificate (CSA). Questa operazione parrebbe in linea con la re-internalizzazione da parte dell’Azienda (processo auspicato anche dal sindacato) di processi e attività oggi in gran parte esternalizzati. Per quale motivo il sindacato ha invece manifestato la sua contrarietà a questa operazione da parte dell’azienda? E come intende fronteggiare concretamente eventuali nuovi processi di esternalizzazione di risorse / attività verso il CSA od altre strutture organizzative (es. Customer operation)?
Per quanto ci riguarda non abbiamo contestato la internalizzazione delle attività, tanto meno il processo di riconversione dei circa 590 lavoratori coinvolti, ma sull’assenza di criteri oggettivi che avrebbero consentito una gestione più equa e trasparente dei trasferimenti. Invece Telecom, forte del principio che l’organizzazione aziendale non è materia di trattativa sindacale, ha deciso di procedere unilateralmente alla riorganizzazione.
Questo atteggiamento ha portato alle conseguenze che tutti quanti conosciamo e che come UGL Telecomunicazioni abbiamo ampiamente denunciato, ossia che la quasi totalità dei lavoratori trasferiti ha particolari situazioni personali e lavorative riconducibili a disabilità personali o familiari, avanzate età anagrafiche, problemi di contenzioso con l’Azienda, cariche sindacali, ecc.
Si fa peccato a pensare che queste casualità …proprio delle casualità non siano?…
Per questo stiamo portando avanti tutta una serie di verifiche, anche legali per tutelare quei lavoratori coinvolti dai trasferimenti che si sono rivolti a noi ed evitare che il fine ultimo sia quello di “scaricare” i dipendenti ritenuti da “qualcuno” meno produttivi in aperta violazione di norme contrattuali o leggi vigenti.
Relativamente alla contrattazione collettiva di primo e secondo livello, quali possono essere le conseguenze giuslavoristiche di una societarizzazione/ smembramento di Telecom Italia in più entità distinte? Cosa può cambiare praticamente nei diritti e nei doveri dei lavoratori?
La più evidente è il contratto aziendale, in quanto il contratto di primo livello o di settore rimarrà lo stesso almeno finché sarà il più conveniente per la specifica azienda. Ogni società avrà quindi un proprio contratto aziendale da costruire sulle ceneri di quello del 2008 e questo tipo di contrattazione assumerà sempre più importanza anche a seguito del recente Accordo sulla Produttività sottoscritto da UGL, CISL e UIL.
L’aspetto occupazionale è per noi la più grande preoccupazione. Se la logica finanziaria prevarrà, allora lo scenario futuro è ipotizzabile in una societarizzazione orientata a creare scatole, e non società, che difficilmente saranno competitive sul mercato, senza essere indipendenti dal punto degli asset e degli investimenti e con un carico di personale altamente professionale ma con un costo del lavoro certamente sopra la media.
Un mix che rischia di diventare esplosivo nei prossimi anni.
Perfetto Stefano, grazie per la disponibilità.”